Embriaco do Zena

Lo deridevano. Li lasciò ridere e conquistò Gerusalemme.

Mi scuso per questo post in stile “forse non tutti sanno che…” Lo faccio solo per spiegare perché Embriaco. Dare qualche bella golata di birra fresca o condividere una bottiglia con gli amici mi fa piacere, eccome. Ma anche se in effetti quando parlo del Genoa perdo lucidità e freni inibitori, non mi riferisco a questioni alcolemiche. Penso piuttosto a Guglielmo Embriaco, un grande genovese e, lasciatemelo credere, anche un Genoano nato prima – molto prima – del Genoa.

Embriaco indossava la nostra splendida, terza maglia, già nell’a.D. 1099. Con la croce di San Giorgio sopra l’armatura, salpò alla volta di Gerusalemme, la città santa che non si riusciva a liberare. Là ce n’era già andata di gente. Forte, armata fino ai denti, piena di soldi da spendere e da investire. Eppure ci aveva già lasciato la ghirba, senza concludere granché. Guglielmo Embriaco partì con due navi e 200 uomini per compiere l’impresa in cui 10.000 crociati continuavano a fallire. Lo deridevano. Li lasciò ridere. Era “miscio” ma aveva le sue navi e i suoi uomini, la sua fede. Era abituato a sudarsi quello che conquistava, era un mercante e quell’epiteto, “mercante”, lo usavano per disprezzarlo. Li lasciò ridere.

Per conquistare Gerusalemme, per riprendere la Terra Santa, non servivano le palanche. E intanto lui non ne aveva come gli altri. Ma era pronto a dare tutto, a partire da se stesso, dai suoi uomini, dalle sue due navi. E quando iniziò a fare a pezzi le sue due galere, lo deridevano. Li lasciò ridere e con il legno ricavato costruì torri altissime  e da quelle seppellì i difensori delle mura di Gerusalemme sotto una pioggia di frecce, mentre altri suoi uomini, con le catapulte, colpivano le mura. Era un condottiero, ma di quelli veri. Di quelli che guidano l’assalto in prima persona. Non lo deridevano più. Conquistò Gerusalemme. E per inciso una delle due navi di quel grande genovese con la croce di  San Giorgio sul petto, una di quelle che “offrì” il legno più forte dell’acciaio delle precedenti grandi armate che fallirono, si chiamava “Grifona”.  Il “mercante” aveva tenuto alto l’onore di Genova, tanto che sull’architrave del Santo Sepolcro venne inciso a lettere d’oro “Praepotens Genuensium Praesidium” (“Grazie allo strapotere dei genovesi”) e grazie alla sua impresa ottenne per la sua Genova l’indipendenza dal Sacro Romano Impero, dando ai natali di quella che sarebbe diventata la Repubblica di Genova, quella “Respublica superiorem non recognoscens” di cui tutti ci sentiamo eredi.

Non so, certo sono un belinone, chiedo scusa a Embriaco per l’abuso del suo nome che faccio firmando questo e i futuri post. Vorrei conoscere almeno uno dei nomi dei 200 imbarcati sulla Grifona per usare magari quello.  Ma ancor più oggi, nel giorno in cui ci si ricorda che “Praepotens Genuensium Praesidium”, il pallone iniziò a rotolare per gli italici campi, l’unica cosa che mi sento di assicurare, e di porgere come umile omaggio al mio Genoa, è la voglia di sentirmi un po’ suo crociato ogni volta che ce ne sia bisogno. Cioè, purtroppo, spesso. Sempre.